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» RIENTRO MIR

La Mir (in russo pace) era in orbita intorno alla terra dal 20 febbraio 1986. Nelle intenzioni dei tecnici, dell’allora Unione Sovietica, sarebbe dovuta rimanere nello spazio per circa cinque anni. E’ rimasta in orbita invece, oltre quindici facendo quasi centomila volte il giro della Terra ad una altezza compresa tra i 350 ed i 400 chilometri. Gli scienziati avevano previsto che dopo la messa in orbita del primo modulo (chiamato appunto Mir) si sarebbero dovuti lanciare, in tempi brevi per espandere la stazione, altri 5 elementi ognuno dei quali dedicato ad uno specifico campo di ricerca come astrofisica, metallurgia, geofisica, ed anche un modulo dedicato al controllo dell’ecosistema terrestre. Ma la crisi economica in cui operava l’intero comparto aerospaziale sovietico fece si che l’ultimo modulo, chiamato Priroda, fosse lanciato ed agganciato solo nell’aprile del 1996. Nel corso dei suoi 15 anni di operatività la stazione spaziale russa è stata raggiunta da 30 capsule Soyuz con uomini a bordo e da 9 missioni dello Space Shuttle statunitense. Complessivamente vi hanno soggiornato 103 persone (tra cui 11 donne) di 13 nazionalità diverse stabilendo decine di primati. Solo per citarne un paio il cosmonauta russo Valeri Polyakov è rimasto ininterrottamente a bordo della Mir per 437 giorni ossia oltre 14 mesi mentre un suo collega Sergei Avdeyev nel corso di due missioni, ha stabilito il record assoluto di permanenza di un essere umano nello spazio con ben 747 giorni. La Mir è stata abitata pressoché ininterrottamente ed ha significato, per la storia delle conquiste spaziali, una pietra miliare rappresentando il passaggio dalla fase esplorativa alla fase dello sfruttamento dell’ambiente in microgravità. Pietra miliare che però non ha avuto molta fortuna. Frutto della tecnologia sovietica dei primi anni ottanta in cui l’elettronica non rappresentava certo un settore di punta, la Mir ha avuto circa 1500 inconvenienti tra gravi e meno gravi. Il più drammatico fu senz’altro un incendio scoppiato nel febbraio del 1997. I sei cosmonauti a bordo in quel momento impiegarono 14 minuti per domare le fiamme che riempirono l’intera stazione di un denso e acre fumo che costrinse gli occupanti a vivere per diversi giorni con indosso le maschere ad ossigeno. Altro episodio che creò apprensione e momenti di vera paura fu quando, nel giugno dello stesso anno, una navetta di rifornimento Progress senza più controllo si schiantò sulla stazione rimbalzando verso i pannelli solari. Le conseguenze furono drammatiche e portarono l’equipaggio composto da due russi ed un americano, molto vicino alla morte. La fortuna volle che il “tamponamento” causò solo una piccola falla di pochi centimetri che fece depressurizzare molto lentamente la stazione, dando così il tempo agli astronauti di chiudere ed isolare il modulo danneggiato. Il guasto subito dai pannelli solari invece fece diminuire del 40% l’energia disponibile costringendo alcuni cosmonauti delle missioni seguenti, ad istallarne dei nuovi. Senza parlare poi delle dozzine di volte che i computer di bordo andando in tilt lasciarono alla deriva l’intero sistema spaziale. Una vita sofferta insomma quella della Mir. Ha vissuto anche il crollo dell’impero sovietico tanto che durante un’attività extraveicolare i cosmonauti ammainarono la bandiera rossa che dei colleghi avevano precedentemente issato in cima ad un traliccio, per sostituirla con quella dell’attuale Russia. Questa bandiera una volta riportata a terra sembrava destinata ad essere donata al premier russo come ricordo di una impresa compiuta a cavallo di due epoche. Se ne sono invece perse le tracce e con molta probabilità è finita in qualche asta clandestina di cimeli spaziali che ultimamente sono molto di moda. Ed ora che la Mir non c’è più i prezzi degli oggetti riportati sulla Terra dai cosmonauti sono destinati ad “arrivare alle stelle”. Strana sorte per una casa che ha finito i suoi giorni come una stella cadente nel mezzo dell’Oceano Pacifico.

Paolo D’Angelo

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